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De Educatione

Pubblicato il: 13/01/2011 17:00:17 -


“Filippo e Sandro sono due docenti che si incontrano per strade diverse. Filippo è giunto al termine della sua carriera; ha raggiunto i quaranta anni di servizio e si prepara al suo ultimo anno di attività mentre Sandro è fresco di nomina ed ancora fatica a rendersi conto, in tempi di tagli del personale, della buona sorte che lo ha toccato”. Estratto da un racconto di Dario Missaglia contenuto nel libro “Educo ergo sum”, edito da Ediesse.
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In questi giorni della seconda metà di agosto, la scuola è ancora semideserta, ma gli uffici di segreteria lavorano a pieno ritmo. È curioso osservare come la burocrazia si sia misteriosamente moltiplicata nell’epoca della sospirata autonomia; silenziosamente, subdolamente, nascosta tra inutili e continui monitoraggi ministeriali, amplificata da una normativa secondaria incessante ed opprimente, gonfiata e dilatata troppo spesso da presidi insicuri.

Filippo e Sandro sono due docenti che si incontrano per strade diverse. Filippo è giunto al termine della sua carriera; ha raggiunto i quaranta anni di servizio e si prepara al suo ultimo anno di attività mentre Sandro è fresco di nomina ed ancora fatica a rendersi conto, in tempi di tagli del personale, della buona sorte che lo ha toccato.

Ora Filippo illustra a Sandro l’importanza di quei primi giorni di attività a settembre: “È un momento cruciale, precisa, perché poi durante l’anno il tempo degli incontri è decisamente poco e allora bisogna lavorare bene adesso”; “Certo, bisogna programmare bene l’uso delle ottanta ore, altrimenti…” risponde Sandro mentre coglie un leggero sorriso sul volto di Filippo. “Già, ottanta ore, chissà se prima o poi capirò questo mistero. Sai quanto si riuscirebbe a fare con un orario pieno per la progettazione didattica, per affinare metodi e criteri di valutazione, approntare materiale didattico, lavorare per dipartimenti. Eppure non se ne parla nemmeno”.

“Va bene Filippo ma il nostro contratto…”, soggiunge Sandro; “Guarda Sandro, ti voglio raccontare della mia professoressa di Liceo”. Esibendo un quaderno con la copertina nera e i fogli paglierini con la riga rossa, “Da trent’anni – diceva – questo è il mio programma di lavoro. Ecco, noi oggi questo non possiamo più farlo. Io mi accorgo che ogni anno i ragazzi che arrivano sono davvero ‘nuovi’. Insomma ogni volta devi chiederti: chi sono i ragazzi che ho di fronte? Quali codici, strategie comunicative mi consentiranno di entrare in relazione con loro? E invece, caro Sandro, sai quanti docenti fanno ancora come la mia professoressa? Sai quanti sono ancora fermi alla lezione frontale, alla interrogazione, al compito, al libro di testo? E allora vedi se ci fosse più tempo per incontrarci a inizio d’anno, preparare con serietà il lavoro, un bel po’ di queste pigrizie mentali verrebbero alla luce, sarebbero discusse e forse rimesse almeno in parte in discussione”.

“Va bene Filippo ma tu mi stai parlando del bravo docente, non del contratto”. “E no Sandro, io ti sto parlando della persona e del suo rapporto con il lavoro che fa. Se la contrattazione non è in grado di rappresentare la persona nel lavoro che fa, è un ferrovecchio; magari avrà qualche funzione nella retribuzione ma non servirà a dare senso e valore al lavoro. Pensa al tema della valutazione dei docenti. Se, come pare, è molto difficile partire dalla valutazione del singolo, perché non iniziare dalla valutazione delle scuole? Perché non rivendicare una amministrazione che, invece di elargire a sua discrezione qualche finanziamento, sia in grado di determinare obiettivi da conseguire e su questo introdurre una dinamica premiale? Secondo il proprio punto di partenza, ovviamente, perché un conto è insegnare a Portici, un conto è insegnare a Rapallo; un conto è gestire un liceo, altro è gestire un professionale. Non accade e così il progettificio dilaga come la nuova forma di dipendenza della scuola dai centri di erogazione di risorse. E poiché il fine non sono gli obiettivi ma le risorse, quei progetti non lasceranno alcun segno. E io provo una grande amarezza perché in tutto questo penso al danno umano e intellettuale che compiamo”.

D’improvviso la porta della biblioteca si apre e compare la figura di Riccardo, il bidello di turno. “Signori, si sono fatte le 19.30…” sussurra gentilmente.

Ora, quasi giunti al parcheggio, Sandro non si trattiene “Ciao Filippo, ci vediamo domani. Ti ringrazio per questa bella discussione. Ma c’è una cosa che mi colpisce di te… Malgrado i tuoi pensieri, anche quelli più critici, quando parli di scuola ti si illumina il viso, quasi al fondo avessi una certezza positiva…”.

Filippo lo guarda con simpatia ed amicizia “Hai ragione Sandro. Una certezza ce l’ho e la riscontro ogni giorno con i miei studenti. Perché, vedi, quando parlo con i ragazzi, vedo che hanno sete di valori duraturi, forti. E allora la scuola mi sembra un meraviglioso serbatoio di nuove energie, nuove speranze, di un cambiamento possibile. Ce la faremo”.

Estratto da un racconto contenuto nel libro “Educo ergo sum”, di Dario Missaglia, 2010, Ediesse.

Dario Missaglia

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